Ho trentasei anni e più vado avanti in questa vita, più mi rendo conto che le esperienze vissute fanno parte di noi esattamente come le cellule che compongono il nostro corpo. Preziosissime e parte di un sistema più ampio.
Ore 20. Buio.
Eccomi nel parcheggio con gli altri genitori, attendere la fine degli allenamenti..
Un terrificante rumore proveniente dalla strada ci sorprende…io quel rumore l’ho già sentito.
Corro più che posso. Fredda. Centrata.
Dietro di me il resto del gruppo osserva la stessa scena.
Suv bianco. Parabrezza in frantumi. Uomo a terra. Quel che resta della sua bicicletta, lontano.
Mi avvicino.
L’autista tiene per mano la vittima.
Gli urlo di non toccarlo e chiamo i soccorsi mentre mi posiziono accanto a loro.
Sguardo perso nel vuoto. Lo chiamiamo, non risponde. Attimi che sembrano eterni.
Respira ancora. Guardo negli occhi l’autista “Ce la farà vedrai”.
A terra un ragazzo indiano.
Nessun effetto personale. Solo lui e la sua bicicletta.
Cerco di tenerlo sveglio e provo a chiamarlo…”Singh, ti chiami cosi?…resisti.”
Il resto del gruppo dirige il traffico mentre la squadra di mia figlia esce dagli allenamenti. Le vedo con la coda dell’occhio…
La mia totale attenzione è rivolta a lui che riprende pian piano conoscenza.
“Lo so che hai paura. Non ti lasciamo solo, resisti. Come ti chiami? “
Farfuglia qualcosa e poi “G non Singh” …sorrido, so che è un buon segno.
I soccorsi arrivano. La mia adrenalina comincia a scendere mentre lo caricano sull’ambulanza.
Mi guardo intorno.
Questo è uno di quei momenti in cui mi sento parte di un sistema più ampio, in cui il mio comportamento può davvero fare la differenza.
“Ciao G…sei in ottime mani ora”
Il mio di compito non è terminato.
“Come ti chiami?” Chiedo all’autista .
“A”
“Ok A. siediti qui. Respira. Come ti senti?”
Si, glielo chiedo perché su quella strada erano in due a soffrire e lui non ha smesso neanche per un secondo di tenere la mano a G.
“E’ stata la frazione di un secondo” Dice.
Cerco dell’acqua da offrirgli.
Arriva la pattuglia.
E’ ora di andare.
Guardo mia figlia laggiù…e realizzo.
Torno ad abitare il mio corpo come se fino a quel momento una forza interiore mi avesse pilotato.
Avrei potuto commentare l’accaduto schierandomi da una parte o dall’altra dando voce al giudizio.
Di accuse da avanzare ne avrei trovate a bizzeffe.
Non lo farò.
Sapete cosa vi dico? Ciò che ho appreso va ben oltre…
E ora festeggio…
perché G ha trovato persone in grado di soccorrerlo ed è vivo.
Perché ho visto un gruppo di persone darsi da fare affinché il tutto potesse risolversi nel migliore dei modi.
Perchè ho capito che il mio piccolo contributo è stato per la mia dodicenne esempio reale e concreto di umanità, amore per il prossimo.
Anche noi esseri umani siamo parte di un sistema più ampio, ma spesso lo dimentichiamo.
Sono donna, sono mamma e sono una Life Coach.
Life significa vita…e questo è uno stralcio della mia.
La condivido con voi.
Francesca
Appena ho letto ho subito capito che eri tu, hai perfettamente ragione, apparteniamo a un sistema più grande di noi, giudicare non spetta a noi dare un contributo è molto più importe ed è esempio per tutti, specialmente per i nostri figli♥️